La distrofia muscolare di Duchenne e Becker
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia rara che colpisce 1 su 5.000 maschi nati vivi. È la forma più grave delle distrofie muscolari, si manifesta in età pediatrica e causa una progressiva degenerazione dei muscoli.
La distrofia di Becker (BMD) è una variante più lieve, il cui decorso varia però da paziente a paziente.
La patologia attraversa diverse fasi, la cui durata non è completamente prevedibile, dipendendo da una varietà di fattori complessi.
Si stima che in Italia ci siano 2.000 persone affette da DMD/BMD, ma non esistono dati ufficiali
La distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è, tra le distrofie muscolari, quella che più comunemente colpisce i bambini. La malattia, nota fin dalla seconda metà del secolo scorso, deve il suo nome al medico francese Duchenne, che la descrisse accuratamente nel 1868. Ad esserne affetti sono esclusivamente i maschi, tranne rarissime eccezioni. La causa è un’alterazione di un gene localizzato sul cromosoma X che contiene le informazioni per la produzione di una proteina: la distrofina.
L’assenza o il malfunzionamento della distrofina ne intacca l’integrità: nella membrana si creano dei “buchi” che la rendono instabile e permeabile “a sproposito”. Si crea così un flusso anomalo, con sostanze fondamentali per la funzionalità del muscolo in uscita e sostanze dannose, come il calcio, in entrata, che fa esplodere le cellule muscolari. Questo processo, oltre alla distruzione delle fibre muscolari, scatena la reazione delle cellule del sistema immunitario, che attaccano come corpo estraneo il materiale fuoriuscito dalla cellula, amplificando la lacuna e provocando così nel tessuto muscolare un danno ancor più grave. Gli spazi vuoti sono poi riempiti da tessuto connettivo a formare una sorta di cicatrice che impedisce a sua volta la funzionalità muscolare. Tale processo si autoalimenta e ripete in maniera costante fino alla morte della totalità delle cellule muscolari.
Che cos'è la DMD?
La Diagnosi
Uno dei criteri per cui il medico può sospettare la DMD è il cosiddetto segno di Gowers, cioè il modo particolare con cui il paziente distrofico si alza da terra o dalla posizione seduta. Alcuni esami di laboratorio permettono di mettere in evidenza il danno muscolare: nelle analisi del sangue un valore importante è quello della creatin-chinasi, l’enzima che normalmente è presente solo nel muscolo, ma che viene trovato nel sangue quando esiste un danno muscolare. Due accertamenti più precisi sono: la biopsia muscolare, che verifica la presenza di fibre degenerate e consente di valutare la presenza di distrofina, e la diagnosi molecolare effettuata con un semplice prelievo di sangue, permettendo di stabilire con esattezza se esistano alterazioni del gene per la distrofina.
La diagnosi prenatale e la trasmissione
Una madre di un bambino con la distrofia muscolare di Duchenne o Becker può sapere se è portatrice della mutazione mediante un’analisi genetica specifica sul gene della distrofina. La mutazione potrebbe inoltre essere presente nella famiglia già da diverse generazioni, quindi sarebbe importante estendere l’indagine genetica agli altri membri della famiglia dal lato materno. È fondamentale stabilire se si è portatrici, sia per sapere se vi è la possibilità di trasmettere la mutazione ai propri figli, sia per la propria salute.
Nel 30% dei casi la patologia è causata da una nuova mutazione del gene per la distrofina, chiamata mutazione spontanea o “de novo”, che non è ereditata dalla madre (non portatrice). Tuttavia, anche nel caso di mutazione spontanea esiste un 7% di possibilità per cui la mutazione sia presente solo nelle cellule riproduttive della madre e non venga quindi rilevata dai test genetici di routine. Questo fenomeno è noto come “mosaicismo della linea germinale”. Durante una gravidanza, nel caso in cui la mutazione familiare sia stata già individuata, è possibile effettuare l’indagine genetica sul feto con la diagnosi molecolare eseguita su DNA estratto da villi coriali o da liquido amniotico.
I primi segni
La patologia attraversa diverse fasi, la cui durata non è completamente prevedibile, dipendendo da una varietà di fattori complessi.
Nel corso degli ultimi 20 anni, gli sviluppi della ricerca scientifica e la presa in carico da parte di équipe multidisciplinari hanno permesso di modificare lo scenario della malattia, raddoppiando l’aspettativa di vita dei pazienti, che ora raggiunge e supera la terza decade. Oggi sono numerose le sperimentazioni cliniche in vari paesi del mondo e, anche se non è ancora disponibile una cura, è probabile che questo scenario continui ad evolversi.
I primi sintomi si manifestano, generalmente, tra i 2 e i 6 anni. La malattia colpisce per primi i muscoli profondi delle cosce e delle anche; il bambino presenta un’andatura dondolante, tende a camminare sulle punte, ha difficoltà a rialzarsi da terra, a saltare, a salire le scale, camminando si stanca con facilità e, di solito, non riesce ad andare in bicicletta.
Col tempo, man mano che le cellule muscolari degenerano, il bambino sviluppa una posizione “lordotica” per cui tende a bilanciare la debolezza dei muscoli pelvici portando avanti la pancia. Le cadute diventano sempre più frequenti nel periodo che precede la perdita della capacità di camminare.
La perdita della deambulazione avviene nel corso dell’adolescenza, in tempi diversi da un ragazzo all’altro che dipendono da diverse variabili, e diventa quindi necessario ricorrere ad una carrozzina elettronica per mantenere l’autonomia negli spostamenti. Progressivamente, la degenerazione dei muscoli colpisce anche quelli degli arti superiori, e più avanti i muscoli respiratori – diaframma e muscoli intercostali – fino a rendere necessaria l’assistenza respiratoria. Con il passare degli anni anche il cuore è interessato dalla malattia
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