Regolare la funzione degli endocannabinoidi prodotti dall’organismo per contrastare il decorso della patologia e recuperare parte delle funzioni motorie. È questo lo scopo di uno studio italiano, condotto al Cnr di Pozzuoli, e appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

Il sistema endocannabinoide è un sistema di segnalazione diffuso dell’organismo la cui alterazione è correlata ad un consistente numero di malattie umane. Ad oggi, il potenziale ruolo degli endocannabinoidi nelle patologie muscolo-scheletriche è ancora poco noto. Il gruppo di ricerca dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Icb) di Pozzuoli, guidato da Vincenzo Di Marzo, è da anni impegnato a studiare il sempre crescente numero di molecole che compongono il sistema degli endocannabinoidi, e dei recettori ed enzimi ad esso collegati, da un punto di vista chimico-strutturale e funzionale. Con una serie di studi, i ricercatori italiani hanno dimostrato come le alterazioni di tale sistema siano associate a varie patologie di ordine neurologico come demenze senili, epilessia, dolore acuto e cronico, e a diverse forme di tumore.

Il nuovo studio ha, per la prima volta, riscontrato importanti alterazioni degli endocannabinoidi nei muscoli scheletrici affetti da distrofia muscolare di Duchenne. In particolare è stato osservato, sia nel modello murino mdx sia nelle cellule prelevate da pazienti DMD, l’iperattività del recettore CB1 nel tessuto muscolare striato. “Siamo riusciti a dimostrare come, con somministrazioni ripetute di farmaci in grado di attenuare tale iperattvità, si ottenga un parziale ma significativo recupero delle funzioni motorie ed una riduzione dell’infiammazione nel modello animale”, spiega Fabio Arturo Iannotti del Cnr-Icb che ha pianificato e condotto il progetto di ricerca.

“Di particolare interesse è la scoperta che gli antagonisti del recettore CB1 promuovono la maturazione delle cellule staminali muscolari, la cui disfunzione rende inefficace la rigenerazione delle fibre muscolari, e allo stesso tempo contrastano l’innesco dell’infiammazione e la degenerazione muscolare tipiche della malattia”, conclude Di Marzo. “Sebbene sia sempre necessaria molta cautela nell’interpretare i risultati ottenuti in modelli sperimentali, l’auspicio è che tale scoperta scientifica spiani la strada a nuove e più efficaci terapie per le patologie muscolari e offra una diversa prospettiva di vita ai pazienti affetti da distrofia muscolare di Duchenne”.

Potete leggere il Comunicato Stampa diffuso dal Cnr 
Potete scaricare lo studio pubblicato su Nature Communications