Quest’anno la Conferenza Internazionale si è aperta con una sessione interamente dedicata alle strategie più innovative che mirano a ripristinare la produzione di distrofina, e che stanno compiendo il delicato passaggio dalla fase di ricerca preclinica alla fase di sperimentazione clinica nei pazienti DMD. La grande e attesa novità è stato il focus sulla terapia genica che da pochi mesi è approdata allo sviluppo clinico con quattro diversi trial clinici negli Stati Uniti, e un quinto programma nelle fasi finali di preclinica in Europa. Sono state, inoltre, illustrate le potenzialità dell’editing genomico per la Duchenne, strategia ancora in fase preclinica, e il programma di sviluppo clinico di oligonucleotidi antisenso di nuova generazione per la nota strategia di exon skipping.

di Francesca Ceradini

Da almeno 15 anni, uno degli obiettivi più ambiziosi della comunità scientifica che lavora nel campo della distrofia muscolare di Duchenne è riuscire a ripristinare la produzione di distrofina, la cui assenza è alla base della patologia, veicolando il gene sano direttamente all’interno del tessuto muscolare. Purtroppo le grandi dimensioni del gene della distrofina, che è il più grande che abbiamo nel nostro DNA, hanno reso l’impresa molto ardua poiché i virus utilizzati per trasferire i geni nelle cellule hanno, per contro, una capienza piuttosto limitata. Grazie, però, ad una serie di progressi scientifici e tecnologici acquisisti in questi ultimi anni, diversi gruppi di ricerca sono riusciti a mettere a punto una strategia di terapia genica in vivo basata sull’utilizzo di forme di dimensioni ridotte, ma funzionali, del gene della distrofina – le cosiddette minidistrofina e microdistrofina – che possono essere ospitate all’interno di vettori virali di tipo adeno-associati (AAV) e veicolate direttamente all’interno del tessuto muscolare. Nella pratica, il virus, viene trasformato in un veicolo innocuo, sostituendo il suo genoma virale con il “gene terapeutico” di interesse, nel caso specifico la mini/microdistrofina. Poiché queste modifiche non alterano la capacità del virus modificato di penetrare nelle cellule, una volta messo in circolazione mediante somministrazione sistemica (per via endovenosa), il virus agisce come una specie di “Cavallo di Troia” che trasferisce nelle cellule il “gene terapeutico” con la successiva produzione della proteina mancante. Gli AAV sono virus di piccole dimensioni, in grado però di contenere le forme ridotte mini/microdistrofine, che hanno la capacità di infettare un largo spettro di cellule e di tessuti. Esistono diversi tipi (tecnicamente chiamati sierotipi) di AAV, e per le strategie di terapia genica per la DMD viene preferenzialmente utilizzato il sierotipo AAV9, per il quale è stata dimostrata la più alta efficienza di infezione per il tessuto muscolare scheletrico e cardiaco.

Il primo aggiornamento di questa sessione di apertura è stato presentato da Michael Binks di Pfizer, azienda farmaceutica che è entrata nel campo della terapia genica per la Duchenne ad agosto 2016 con l’acquisizione di Bamboo Therapeutics, una biotech focalizzata sullo sviluppo di terapie geniche per il trattamento di alcune malattie rare nell’ambito delle patologie neuromuscolari e del sistema nervoso. Pfizer ha sviluppato una strategia di terapia genica che porta il nome di “PF-06939926” che è composta da: un vettore AAV9 all’interno del quale è ospitato un gene della minidistrofina, disegnato sulla base della sequenza genica della distrofina di un paziente che ha una forma lieve di BMD e la cui espressione è regolata da un elemento che limita la produzione della minidistrofina solo nei muscoli. Binks ha, innanzitutto, mostrato i buoni risultati ottenuti dagli studi preclinici, in ratti modello per la DMD, condotti con la somministrazione per via sistemica di PF-06939926. Gli esperimenti hanno dimostrato un’espressione della minidistrofina che è direttamente proporzionale rispetto alla quantità di PF-06939926 somministrata (dose dipendente), e che raggiunge buoni livelli dopo 6 mesi dall’infusione. È importante sottolineare che la minidistrofina è prodotta sia nelle fibre muscolari scheletriche che in quelle cardiache. Inoltre, la produzione di minidistrofina è associata ad un rallentamento, e a volte ad una stabilizzazione, del declino della forza muscolare nei ratti. Questi dati, accompagnati da altri buoni risultati ottenuti nei cani modello per la distrofia muscolare nei quali è stato osservato un’espressione a lungo termine  della minidistrofina e un miglioramento della funzionalità muscolare, hanno permesso al FDA (l’Agenzia che valuta e regolamenta i famaci negli Stati Uniti) di autorizzare l’avvio di una sperimentazione clinica di fase 1 in 4 centri clinici in USA. Si tratta di un trial in aperto, non randomizzato, a singola dose crescente che mira a valutare la sicurezza e la tollerabilità di PF-06939926 in 12 pazienti Duchenne deambulanti e di età compresa tra i 5 e i 12 anni. Attualmente sono in corso gli screening per il reclutamento dei partecipanti. La somministrazione sarà effettuata in un’unica dose partendo dal dosaggio più basso, e, se questo si dimostrerà sicuro, verrà aumentato nei pazienti successivi. Il reclutamento e la somministrazione verranno effettuati in maniera scaglionata per valutare al meglio la tollerabilità e minimizzare i possibili rischi. Oltre alla sicurezza e alla tollerabilità, lo studio valuterà attraverso biopsie muscolari ed esami  di risonanza magnetica (MR), anche l’espressione della minidistrofina e la sua distribuzione, la forza e la funzionalità muscolare. I primi dati saranno disponibili dopo un anno di monitoraggio, ma i pazienti saranno seguiti per un periodo totale di 4 anni per poter valutare gli effetti a lungo termine della terapia genica.

A seguire Thomas Voit, dell’Institute of Child Health all’University College London, ha illustrato una panoramica sulle potenzialità e sui limiti della terapia genica per la Duchenne. La presentazione di Voit si è basata sui risultati ottenuti negli studi preclinici di un programma di sviluppo di strategia di terapia genica per la DMD che sta conducendo in collaborazione con diversi istituti francesi e, in particolar modo, con Genethon. Il programma si trova ormai nelle fasi finali di sviluppo preclinico e potrebbe accedere alla sperimentazione clinica in un futuro prossimo. Gli esperimenti sono stati condotti su cani modello per la DMD (GRMD), nei quali è stata somministrata per via locale, o sistemica, una forma ridotta del gene della distrofina – la microdistrofina – veicolata dal vettore AAV8 (un vettore molto simile a AAV9, capace di infettare in maniera specifica il tessuto muscolare scheletrico e cardiaco). Come per altri studi, anche in questo caso i dati dimostrano che la produzione di microdistrofina nelle cellule, ed i suoi effetti sulla patologia, è direttamente proporzionale rispetto alla somministrazione di microdistrofina-AAV8. I ricercatori hanno osservato che sopra ad un certo livello soglia di produzione di microdistrofina si ottiene una significativa riduzione di fibrosi nel tessuto muscolare dei cani. Questo livello di produzione di distrofina è ,inoltre, associato ad una stabilizzazione della forza muscolare, che nei cani GMRD è in veloce declino già dalla nascita. Per riuscire ad ottenere un vero e proprio aumento della forza muscolare è necessario che la produzione di microdistrofina nel tessuto muscolare superi il 40%. A questo proposito Thomas Voit ha sottolineato una serie di limiti ed ostacoli all’applicazione clinica della terapia genica per la Duchenne. Innanzitutto, l’espressione di microdistrofina è molto variabile ed eterogenea tra le cellule di diversi distretti muscolari, il che è probabilmente dovuto ad una diversa efficienza di infezione da parte del vettore virale nei vari muscoli. Inoltre, la produzione di microdistrofina tende a diminuire nel tempo, in particolare dopo circa due anni negli studi preclinici presentati. Questo vuol dire che la strategia utilizzata può, sì, avere un effetto terapeutico sui cani ma solo parziale e temporaneo. Ma a cosa è dovuto questo “esaurimento” della produzione di microdistrofina? Probabilmente ad una graduale perdita del “gene terapeutico” da parte dell’organismo causato da due diversi fattori. Il primo fattore è la crescita: se si effettua un approccio di terapia genica in un animale molto giovane, questo crescendo avrà anche un aumento della massa muscolare con una conseguente diluizione del “gene terapeutico” inizialmente introdotto. Il che fa supporre che l’efficacia della terapia genica potrebbe dipendere dalla fascia di età nella quale viene effettuata. Secondo, la perdita del gene della microdistrofina può derivare dalla permeabilità della membrana delle cellule muscolari (nella DMD questa è resa fragile e permeabile proprio dalla mancanza di distrofina), per cui il “gene terapeutico” fuoriesce dalla cellula, disperdendosi. Questa seconda problematica potrebbe essere affrontata combinando due diversi approcci terapeutici: un pre-trattamento basato sull’exon skipping seguito da un trattamento con terapia genica. L’exon skipping indurrebbe la produzione di un certo livello di distrofina, sufficiente per stabilizzare la membrana delle cellule muscolari e per permettere quindi che il gene della microdistrofina, fornito successivamente con la strategia di terapia genica, sia trattenuto e svolga la sua funzione nella maniera più efficiente possibile. Una strategia combinata sulla quale si sta lavorando a livello di ricerca preclinica ma che non è ancora attuabile sui pazienti. Al momento l’unica via è di somministrare alte dosi di terapia genica per minimizzare la progressiva diminuzione di “gene terapeutico” nelle cellule muscolari. Un altro limite illustrato da Voit, riguardo alla terapia genica per la Duchenne, risiede nel fatto che le forme geniche di mini/microdistrofina vengono veicolate dai vettori AAV nel tessuto muscolare scheletrico e cardiaco, dove entrano in azione, ma non riescono a penetrare in maniera efficiente nelle cellule staminali del tessuto muscolare (le cellule satelliti) che sono alla base del processo di rigenerazione di questi tessuti, limitando notevolmente le potenzialità della terapia sperimentale. Infine, Thomas Voit ha posto l’attenzione sul rischio della possibile risposta immunitaria dell’organismo che riceve la terapia genica, e sull’eventuale tossicità della strategia. Un importante limite all’applicabilità della terapia genica è la pre-esistenza, nel circolo sanguigno del paziente, di anticorpi diretti contro le proteine del vettore virale usato per il trasferimento. Questa situazione avviene quando  una persona ha già subito un’infezione da parte del virus AAV originario, ed è tale per cui qualsiasi esposizione successiva a virus dello stesso tipo viene immediatamente bloccata dal sistema immunitario, proprio attraverso gli anticorpi specifici per quel virus prodotti durante l’infezione precedente. Sul fronte della tossicità, invece, in alcuni studi clinici, condotti per altre patologie, è stato osservato un aumento delle transaminasi e alcuni problemi di coagulazione a seguito della somministrazione di “geni terapeutici” veicolati da diversi sierotipi AAV. Sarà perciò di fondamentale importanza monitorare attentamente i pazienti DMD durante i trial, soprattutto nella prima settimana dopo la somministrazione. Nonostante tutti i limiti presentati, Voit ha comunque concluso che la terapia genica ha effettivamente un alto potenziale e che sarà molto importante nel futuro prossimo continuare ad esaminare molto attentamente le diverse problematiche per cercare di trovare soluzioni adeguate.

È stata poi la volta di Pat Furlong, fondatrice e presidente di PPMD (il Parent Project statunitense), la quale ha presentato la terapia genica dal punto di vista di un’associazione dei pazienti che sostiene uno dei programmi clinici in sviluppo. A settembre 2016, in accordo con il comitato scientifico dell’associazione, PPMD ha deciso di avviare un’importante campagna di raccolta fondi per supportare il team di Jerry Mendell del Nationwide Children’s Hospital, che aveva da poco avuto successo con uno studio clinico di terapia genica per la SMA (Atrofia Muscolare Spinale), nella pianificazione e realizzazione di un trial anche per la Duchenne. Ad inizio 2017, PPMD ha investito quasi 2,5 milioni di dollari (la somma più grande che PPMD abbia mai destinato alla ricerca) in questo ambizioso progetto. Lo studio clinico, supportato anche da Sarepta Therapeutics, è stato avviato a fine 2017 e si tratta di una sperimentazione in aperto, non randomizzata, controllata e a singola dose che mira a valutare la sicurezza, l’attività biologica e l’efficacia di una somministrazione per via sistemica del gene della microdistrofina veicolato da un vettore AAV (strategia denominata rAAVrh74.MHCK7.micro-dystrophin) in 12 bambini Duchenne. Lo studio ha come target due diverse fasce di età: una che comprende neonati dai 3 mesi fino a bambini di 3 anni, e l’altra bambini dai 4 ai 7 anni. In conferenza, Pat Furlong ha annunciato che rAAVrh74.MHCK7.micro-dystrophin è già stata somministrata nei primi due pazienti. Il primo bambino si chiama Connor, ha 4 anni e viene da Chicago, ed è stato trattato lo scorso 4 gennaio con un’infusione attraverso un catetere intravenoso nel braccio che è durata circa 1 ora e 15 minuti. Dopo la somministrazione Connor è rimasto in ospedale per due giorni, non ha avuto effetti collaterali e la funzionalità epatica è risultata buona. Ora è tornato a casa a Chicago e ha ripreso le sue normali attività quotidiane. Il secondo bambino, del quale Furlong non ha dato dettagli angrafici, è stato trattato lo scorso 15 febbraio, anche per lui non sono stati rilevati effetti collaterali a due giorni dalla somministrazione e ad oggi sta bene. Secondo la pianificazione del trial, un terzo bambino sarà trattato a marzo ed un quarto ad aprile. Lo studio clinico prevede una biopsia muscolare prima del trattamento e una dopo 90 giorni dalla somministrazione del “gene terapeutico” per vedere i livelli di espressione della microdistrofina e se questa sostituisce correttamente la distrofina nel tessuto muscolare. I bambini che partecipano al trial saranno monitorati con visite, analisi del sangue, esami immunologici e test funzionali per due anni. Per avere dei risultati sugli effetti della terapia ci vorrà un bel po’ di tempo, i primi dati disponibili valuteranno più che altro la tollerabilità.  Furlong spera che alcuni dati preliminari su questo studio clinico, magari insieme anche a qualche aggiornamento sui trial appena avviati e condotti da Pfizer e Solid Biosciences, potranno essere presentati alla Conferenza Annuale PPMD che si terrà a fine giugno in Arizona. Oltre all’aggiornamento, quasi dell’ultima ora, sullo studio clinico di terapia genica condotto al Nationwide Children’s Hospital, Pat Furlong ha voluto puntare l’attenzione anche sull’importanza di raccogliere informazioni circa la consapevolezza e la valutazione dei pazienti sul fronte del delicato equilibrio rischi e benefici per le terapie sperimentali innovative ad alto impatto, ma anche ad alto rischio, quali la terapia genica. Ad inizio 2018, è stato avviato uno studio internazionale – denominato BRAVE (Benefit – Risk Assessment Valuation&Evidence) – condotto da sei importanti associazioni di pazienti per la Duchenne (tra cui diversi Parent Project) in sei diverse nazioni (Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Olanda e Belgio) con l’obiettivo di  raccogliere una serie di dati su come i pazienti e i caregiver valutano i rischi e i benefici di una terapia sperimentale, quali benefici sono per loro prioritari, e quali rischi sono disposti ad accettare per lo sviluppo e l’autorizzazione di una terapia. Vengono, inoltre, raccolte tutta una serie di informazioni sulle conoscenze in generale che hanno pazienti e i caregiver sul processo di ricerca e sviluppo di una terapia, sul sistema regolatorio di autorizzazione e di accesso ad un farmaco/terapia, e sul sistema di definizione dei prezzi e della rimborsabilità. Lo studio è basato su un questionario che sarà sottoposto a 360 persone totali e che permetterà di avere una fotografia anche sulle diverse realtà che esistono nei diversi Paesi e sulle diverse percezioni che si hanno a seconda dello stadio di progressione della patologia. La pubblicazione dei risultati è pianificata per la fine dell’anno. Inoltre, in collaborazione con Pfizer e Solid Biosciences, PPMD sta conducendo un altro studio, dello stesso genere, ma focalizzato esclusivamente sui rischi e benefici della terapia genica e limitato agli Stati Uniti (su 150 genitori e 50 pazienti DMD adulti). I dati di questo secondo studio dovrebbero essere pubblicati a fine primavera. Tutti i dati raccolti da questi studi, che rispecchiano le valutazioni e le priorità dei pazienti, saranno condivisi con l’FDA e serviranno per avviare un tavolo di lavoro con l’Agenzia regolatoria statunitense per ridefinire i parametri rischi-benefici per i trial con terapie sperimentali innovative e per trovare la giusta via per accelerare il percorso di sviluppo e autorizzazione in commercio.

Dopo gli interessanti interventi sulla terapia genica, è stata la volta dell’editing genomico basato sul sistema Crispr/Cas9, l’innovativa tecnica di ingegneria genetica che permette di effettuare correzioni e modifiche (ricordando proprio un sistema di “correttore di bozze”) direttamente sul DNA in maniera estremamente precisa, versatile e rapida. La scoperta e messa a punto di questo sofisticato strumento di correzione risale a meno di sei anni fa, e negli ultimi anni gli studi sulle sue potenzialità per un’applicazione terapeutica nel campo delle malattie genetiche sta crescendo in maniera esponenziale. I primi studi di editing genomico con Crispr per la Duchenne risalgono al 2014, ma è la pubblicazione contemporanea di tre diversi lavori sulla prestigiosa rivista scientifica “Science” a inizio 2016 che ha definitivamente attirato l’attenzione della comunità Duchenne. Le potenzialità di Crispr, i suoi limiti e le sfide per il futuro nell’ambito della DMD, sono state illustrate in Conferenza da Annemieke Aartsma-Rus dell’Università di Leiden. Il meccanismo di azione di Crispr è molto semplice e si basa su due elementi: un enzima deputato al taglio del DNA (Cas9) e una molecola guida (RNA) che indica il punto preciso in cui tagliare. Aartsma-Rus lo ha paragonato ad una forbice molecolare combinata con un sistema GPS. Lo scopo è di correggere le mutazioni presenti sul gene della distrofina e di indurre così la produzione della proteina che è, invece, assente nella DMD. Per effettuare questa “operazione genetica” il sistema Crispr/Cas9 viene veicolato nell’organismo mediante gli stessi vettori virale utilizzati per la terapia genica (gli AAV). La differenza rispetto alla terapia genica è che con l’editing non serve veicolare un “gene terapeutico” all’interno delle cellule, bensì si veicola il sistema di “correttore di bozze” che va poi a modificare il gene direttamente lì dove si trova. I diversi studi preclinici effettuati fino ad oggi per la Duchenne sono stati condotti su topi modello per la distrofia muscolare, o su cellule prelevate da pazienti DMD, e sono stati effettuati rimuovendo alcune mutazioni presenti nel gene della distrofina mediante l’eliminazione di uno o più esoni. Un approccio che ricorda l’exon skipping: strategia ideata per ristabilire il corretto schema di lettura del gene della distrofina, che è stato perso a causa della presenza di una mutazione. Vi è però una differenza sostanziale: mentre l’exon skipping agisce a livello del RNA messaggero, la molecola che veicola il “messaggio genetico” della cellula che sarà tradotto in proteina, Crispr/cas9 interviene sul DNA, ovvero correggendo direttamente e in maniera definitiva il codice genetico stesso del paziente. Tradotto in potenzialità terapeutica, ciò vuol dire che in teoria basterebbe un singolo trattamento di editing genomico per eliminare per sempre la mutazione, mentre sappiamo che le terapie di exon skipping, che sono attualmente in sperimentazione, necessitano di continui trattamenti settimanali. Tra l’altro, Crispr risulta essere molto versatile per eliminare le mutazioni di duplicazione o per effettuare dei multi-exon skipping, “operazioni” per le quali la strategia classica di exon skipping ha dei grossi limiti. I risultati ottenuti negli studi preclinici sono stati assolutamente positivi ed hanno alimentato le speranze per questa promettente nuova strategia terapeutica. Vi sono però ancora una serie di aspetti tecnici da mettere a punto e di sfide da affrontare prima che si possa approdare ad una sperimentazione clinica nei pazienti Duchenne. Tra gli ostacoli da risolvere alcuni sono in comune con quelli della terapia genica, ad esempio ottimizzare la modalità e l’efficienza di trasporto del “sistema terapeutico” per raggiungere il maggior numero possibile di cellule muscolari, o risolvere i rischi di tossicità e di risposta immunitaria. Altri aspetti tecnici sono invece peculiari del sistema Crispr/Cas9, come ad esempio la necessità di lavorare sulla specificità e precisione del taglio delle forbici molecolari minimizzando il più possibile gli eventi “off target”, ovvero i tagli non previsti in punti non desiderati del gene. Annemieke Aartsma-Rus ha concluso la sua presentazione sottolineando che, nonostante le grandi potenzialità, l’editing genomico potrebbe non rappresentare una cura per la Duchenne ma un approccio terapeutico in grado di rallentare la progressione della patologia e per il quale gli effetti dipenderanno molto dalla fascia di età e dallo stadio di progressione sul quale si interviene.

La sessione è stata infine conclusa con l’intervento di Wendy Erler di Wave Life Sciences, un’azienda biotech americana, riguardo agli aggiornamenti sul programma di sviluppo clinico di una nuova generazione di oligonucleotidi antisenso (AON), chiamati stereopuri, ideati per la strategia di exon skipping. Come accennato precedentemente, l’obiettivo dell’exon skipping è di “correggere”, a livello del RNA messaggero, alcune mutazioni genetiche che causano un cambiamento nello schema di lettura del gene della distrofina e la mancata produzione della proteina funzionale. Una corretta lettura può essere ristabilita eliminando un esone (la parte codificante del gene) mediante l’utilizzo di  piccole molecole antisenso (AON). Alla fine di questa “operazione molecolare” la distrofina prodotta sarà più corta del normale ma potrà ancora svolgere la sua funzione muscolare. Ogni molecola, con una sua specifica composizione chimica, esiste in natura sotto diverse forme tridimensionali. Gli AON utilizzati fino ad oggi per l’exon skipping sono una miscela di molecole che hanno la stessa struttura chimica ma diverse forme 3D. L’innovatività introdotta da Wave Life Sciences è di utilizzare una piattaforma di nuova tecnologia che è in grado di selezionare “popolazioni” omogenee di molecole antisenso, chiamate appunto stereopure, che hanno la stessa composizione chimica e la stessa struttura tridimensionale, caratteristica che ha un importante impatto sulla capacità di indurre un efficiente exon skipping. Le molecole selezionate vengono poi testate per valutarne la stabilità, la specificità e, appunto, l’efficienza di exon skipping. Solo quelle che danno i risultati migliori passano poi alla fase di sperimentazione preclinica e, di queste, solo l’AON “candidato leader” approda infine allo studio clinico sui pazienti. È questo il percorso che ha fatto WVE-210201, molecola antisenso disegnata per lo skipping dell’esone 51 (approccio che potrebbe essere un valido trattamento per il 13% della popolazione Duchenne), per cui è appena stato avviato un trial di fase 1 negli Stati Uniti. Gli studi preclinici condotti con WVE-210201 su cellule prelevate da pazienti DMD hanno dimostrato che la molecola induce l’exon skipping in maniera dose dipendente, e con un’efficienza notevolmente superiore rispetto a quella degli AON classici che sono al momento in via di sviluppo come strategia terapeutica per la Duchenne. Inoltre, gli esperimenti condotti su topi modello per la distrofia muscolare hanno mostrato la produzione di alti livelli di distrofina nei vari distretti muscolari, compresi il diaframma e il cuore. Buoni risultati sono stati ottenuti anche in sperimentazioni precliniche condotte su primati non umani. Lo studio clinico di fase 1 avviato da Wave Life Sciences è multicentrico, randomizzato, in doppio cieco controllato con placebo con un rapporto 3:1 (i pazienti che ricevono il farmaco sono numericamente tre volte quelli che ricevono il placebo), e a singola dose crescente. Il trial mira a valutare la sicurezza e la tollerabilità di WVE-210201 somministrato per via sistemica nei pazienti DMD con mutazioni genetiche trattabili con lo skipping dell’esone 51. Lo studio sarà condotto su pazienti di età compresa tra i 5 e i 18 anni, deambulanti e non, e potranno partecipare anche coloro che sono stati precedentemente trattati con eteplirsen/ExonDys51 o con ataluren/Translarna (due altre molecole sperimentali sviluppate, rispettivamente, per lo skipping dell’esone 51 e per le mutazioni nonsenso), l’importante è che i pazienti abbiano seguito un periodo appropriato di sospensione della terapia. I primi dati dovrebbero essere disponibili entro la fine dell’estate ed è già stato pianificato uno studio di estensione in aperto, con un monitoraggio dei pazienti per una durata di due anni. Il trial è al momento attivo solo negli Stati Uniti ma verrà esteso, nei prossimi mesi, anche al Regno Unito e ad altri Paesi europei (tra i quali dovrebbe rientrare anche l’Italia). Nel frattempo, la biotech americana sta programmando i passi successivi per lo sviluppo clinico di WVE-210201 con la progettazione di uno studio di efficacia, sempre condotto in doppio cieco controllato con placebo, a dosi multiple per valutare l’espressione della distrofina nel tessuto muscolare dei pazienti e i benefici clinici. È importante sottolineare che tutti i protocolli dei trial avviati e in progettazione sono definiti in collaborazione con la comunità Duchenne. E, proprio grazie a questa collaborazione, il prossimo obiettivo è la realizzazione di una nuova formulazione di WVE-210201 per iniezione sottocutanea. Infine, Wave Life Sciences sta lavorando anche ad un programma di sviluppo clinico per una molecola antisenso disegnata per lo skipping dell’esone 53, per il quale il primo studio clinico sarà avviato probabilmente tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019.