Milano, 18 set . (Adnkronos Salute) – Si chiama trichostatina A e promette di bloccare la distrofia muscolare, malattia genetica che colpisce un neonato maschio su 3.500 e affligge circa 5mila italiani. Lo studio, pubblicato su “Nature Medicine”, nasce da una collaborazione tra Lorenzo Puri del Burnham Institute di La Jolla, (California), a capo di un’equipe del Dulbecco Telethon Institute di Roma, e l’Istituto di ricerche di biologia molecolare dell’Idi di Roma. Tra gli autori anche le ricercatrici Giulia Minetti e Chiara Mozzetta, finanziate con borse di studio di Parent Project Onlus.
La ricerca sarà presentata al convegno “I fatti e le parole: la sperimentazione sull’uomo nella distrofia di Duchenne e Becker”, organizzato da Parent Project sabato 23 settembre nel capoluogo lombardo, dalle 8.30 al Centro congressi di via Filippo Corridoni della Provincia di Milano.
La trichostatina A – spiega una nota dei promotori – è un inibitore dell’enzima istone deacetilasi, che “sembra in grado di arrestare la progressione della degenerazione muscolare tipica della distrofia e di promuovere la rigenerazione del muscolo scheletrico”. “Il lavoro di Lorenzo Puri è il quarto ‘asso’ che le famiglie Duchenne sperano di poter utilizzare per vincere la loro partita – commenta Filippo Buccella, presidente di Parent Project – Quando abbiamo organizzato l’incontro di Milano sapevamo di avere tre strade aperte alla sperimentazione sull’uomo”. Ora ce n’è una quarta e “questo poker ci rassicura: i soldi che abbiamo puntato sono ben spesi, niente giochi d’azzardo”.
La terapia individuata dal gruppo di Puri si basa sulla somministrazione giornaliera di inibitori delle deacetilasi, particolari farmaci già utilizzati nella pratica clinica, soprattutto in campo oncologico. Nel caso della distrofia muscolare, il trattamento nel modello animale con tali farmaci previene pressoché completamente la progressione della malattia, determinando al contempo un aumento della massa muscolare e preservando i muscoli dalla perdita di forza e dalle alterazioni morfologiche tipiche. Dopo soltanto tre mesi di trattamento i topolini malati sono riusciti infatti a correre normalmente. Si tratta di uno dei primi esempi di strategia farmacologica nel trattamento di malattie genetiche e – sottolineano i ricercatori – l’effetto terapeutico non dipende dal recupero di espressione da parte dei geni mutati. “Si tratta di un risultato concreto e rilevante ma che non deve in ogni caso generare eccessive aspettative, poiché è fondamentale ricordare – ha commentato Puri – che il successo conseguito rimane circoscritto per ora a modelli di distrofia muscolare del topo e che non necessariamente è replicabile nell’essere umano. Questo perché i sintomi che si manifestano nei roditori sono, in generale, assai più blandi di quelli negli umani.” Nonostante molti inibitori delle deacetilasi siano già usati come farmaci, prima di poter procedere ad un’eventuale sperimentazione della nuova strategia farmacologia sui bambini distrofici ci vorranno ancora numerose verifiche: occorrono infatti ancora altri studi su modelli di distrofia in animali, il confronto tra i vari inibitori delle deacetilasi disponibili, nonché l’analisi di una possibile terapia combinata con steroidi, In tale prospettiva il gruppo di Puri si sta già preparando a percorrere diverse direzioni, sfruttando le sinergie tra Telethon, Parent Project, MDA(Muscolar Distrophy Association) e NIH(National Institutes of Health) negli Usa, ed alcune industrie farmaceutiche proprietarie degli inibitori delle deacetilasi.