Il 2016 sembra essere iniziato con ottime premesse, dopo poco più di un mese dalla pubblicazione su Science di tre diversi studi che hanno dimostrato l’applicabilità dell’innovativa tecnologia Crispr su topi modello per la DMD , arriva la pubblicazione di uno studio che descrive la possibilità di utilizzarla anche in cellule staminali umane.
Francesca Ceradini

Lo studio, nato dalla collaborazione di diversi gruppi di ricerca dell’Università della California UCLA, è stato pubblicato a febbraio sulla rivista scientifica Cell Stem Cell. Si tratta di un innovativo approccio combinato di terapia genica e terapia cellulare che fornisce una prima prova preliminare della sua applicabilità alla distrofia muscolare di Duchenne. La peculiarità dello studio non risiede solo nelle tecnologie utilizzate bensì anche nei ricercatori che hanno partecipato al lavoro. Tre di questi sono infatti coinvolti non solo professionalmente ma anche personalmente alla distrofia muscolare di Duchenne. Stanley Nelson, professore di genetica umana alla UCLA e Carrie Miceli, professoressa di immunologia e genetica molecolare alla UCLA, oltre ad essere scienziati di rilievo sono i genitori di Dylan, un ragazzo affetto da Duchenne. Questi nomi potrebbero non suonarvi nuovi visto che nel 2012 hanno partecipato alla Conferenza Internazionale di Parent Project Onlus. Nelson e Miceli sono da anni impegnati in prima linea nella battaglia contro la Duchenne, dirigono il Center for Duchenne Muscular Dystrophy di UCLA e sono riusciti a creare un network di tredici laboratori che collaborano per studiare tutti gli aspetti della patologia. In questo network lavora anche Courtney Young, giovane ricercatrice e prima autrice dello studio, che ha un cugino con la DMD.

Ma torniamo ora a parlare del loro ultimo studio. Per la prima volta è stata dimostrata la possibilità di utilizzare l’editing genomico in cellule staminali umane per eliminare mutazioni del gene della distrofina che causano la DMD. L’innovazione del lavoro si basa sull’utilizzo di due tecniche di ricerca all’avanguardia: da una parte Crispr, l’ultima entusiasmante novità nel campo dell’ingegneria genetica, e dall’altra parte le cellule staminali pluripotenti indotte (chiamate iPSC) che sono state definite qualche anno fa l’ultima frontiere nel campo delle cellule staminali. Le iPSC (dall’inglese Induced Pluripotent Stem Cells) sono un tipo di cellule staminali immature che vengono create in laboratorio riprogrammando geneticamente le normali cellule adulte specializzate. Se indotte le iPSC sono poi in grado di differenziarsi in diversi tipi cellulari. Il concetto di base è: prendere una “cellula adulta” specializzata, riprogrammarla per farla tornare “cellula bambina” o staminale, e poi indurla a generare un nuovo tipo di “cellula adulta”.

Crispr in iPSCNello studio pubblicato, i ricercatori hanno prelevato cellule della pelle (fibroblasti) da tre pazienti Duchenne con tre diverse mutazioni. Tutte e tre le mutazioni sono localizzate nella regione centrale del gene della distrofina e causano la perdita dello schema di lettura del gene con la conseguente mancanza della produzione della distrofina funzionale. Il corretto schema di lettura delle diverse mutazioni può essere ripristinato eliminando un’ampia porzione del gene che va dall’esone 45 al 55. Una sorta di skipping di più esoni per intenderci. I fibroblasti sono stati riprogrammati per generare delle iPSC, cellule che mantengono le mutazioni descritte, e la “correzione genetica” è stata poi effettuata su queste cellule staminali. Utilizzando il sistema Crispr-Cas9, i ricercatori sono riusciti a rimuovere la regione degli esoni 45-55 con un’alta efficienza. A differenza dell’exon skipping, che agisce sull’RNA messaggero (la molecola che veicola l’informazione genetica nella cellula), Crispr agisce direttamente sul DNA con un effetto permanente sul gene.

A questo punto, le iPSC sono state indotte a differenziarsi in cellule muscolari scheletriche e cellule cardiache, e il dato chiave è che queste cellule hanno mostrato la capacità di produrre distrofina, anche se in forma accorciata. Va ricordato che la distrofina ha un ruolo determinante per la stabilità meccanica della membrana durante la contrazione muscolare. L’assenza, o il malfunzionamento, della distrofina va ad intaccare l’integrità della membrana e si crea un flusso anomalo costituito da sostanze fondamentali per la funzionalità del muscolo che escono, come l’enzima CK, e sostanze dannose che entrano, quali il calcio. I ricercatori hanno quindi testato la funzionalità di questa nuova forma tronca di distrofina espressa nelle cellule muscolari e cardiache indotte. I risultati sono stati assolutamente positivi: la produzione della proteina è correlata con una diminuzione della fragilità della membrana cellulare e con una diminuzione di rilascio dell’enzima CK da parte delle cellule.

Un altro dato incoraggiante arriva dallo studio dei livelli di biomarcatori espressi da queste cellule. I biomarcatori sono quelle molecole, normalmente presenti nel nostro organismo, che possono essere misurate e monitorate per fornire informazioni sui processi patologici, quali il tipo di malattia e la sua progressione. I biomarcatori possono essere proteine o molecole, come RNA o DNA, presenti nei liquidi corporei, nei tessuti o nelle cellule. Nel 2011 il gruppo di ricerca di Irene Bozzoni dell’Università Sapienza di Roma ha identificato e validato un piccolo RNA, denominato microRNA 31 (miR-31), come biomarcatore per la Duchenne. MiR-31 è un repressore della distrofina e svolge un ruolo fondamentale nel controllare il passaggio dalle fasi precoci a quelle tardive del differenziamento muscolare. Lo studio di biopsie di soggetti sani e di pazienti con la distrofia muscolare di Duchenne hanno dimostrato che in questi ultimi i livelli di miR-31 sono più abbondanti. In totale accordo con questi dati, i ricercatori hanno rilevato che la correzione genetica effettuata sulle cellule iPSC si riflette in una diminuzione dei livelli di miR-31 e, più in particolare, rispecchia i livelli normalmente presenti in pazienti Becker che presentano una forma più lieve di distrofia muscolare.

Infine, per poter valutare l’effettiva potenzialità in vivo, ovvero nell’organismo, di questo approccio combinato, le cellule muscolari scheletriche generate dalle iPSC corrette geneticamente mediante Crispr sono state trapiantate in topi distrofici. I risultati sono stati ancora una volta positivi: la distrofina prodotta è correttamente localizzata a livello della membrana cellulare preservandone l’integrità e la funzionalità.

Tutti questi dati messi insieme dimostrano che la delezione di un’ampia regione centrale del gene della distrofina mediata dal sistema Crispr è in grado di ripristinare la produzione di una forma funzionale della distrofina. Questo studio pone le basi per una nuova strategia terapeutica per la Duchenne che potrebbe essere applicata al 60% della popolazione DMD. La regione del gene eliminata da Crispr, che va dall’esone 45 al 55, rappresenta infatti la parte in cui è più probabile trovare mutazioni che causano la patologia. Inoltre, grazie alla tecnologia Crispr è molto più facile ed efficace, in termini di ripristino della distrofina e di beneficio terapeutico, eliminare l’intera regione 45-55 piuttosto che eliminare piccoli frammenti corrispondenti ai diversi esoni per ogni diversa mutazione, come viene fatto nel caso della strategia basata sull’exon skipping.

I ricercatori stanno adesso lavorando per mettere a punto e ottimizzare questo nuovo approccio per testarne il beneficio terapeutico in modelli animali. L’obiettivo finale sarebbe ovviamente di riuscire a perfezionare il metodo per passare allo studio sull’uomo basandosi sul trapianto autologo di cellule manipolate geneticamente. L’idea è quindi di prelevare le cellule di un paziente con la Duchenne, correggerle geneticamente mediante Crispr affinché riescano a produrre la distrofina mancante e reimpiantarle nel paziente stesso. 

Le premesse sono buone, i ricercatori sono più che motivati, ma ricordiamoci sempre che la strada è lunga, a volte tortuosa, e che i trial clinici non sono mai dietro l’angolo.