myogenic-cells-gfp1Dopo aver fornito un breve resoconto del convegno che si è svolto a metà febbraio a Milano, l’idea è ora di riportare un riassunto delle varie relazioni che sono state presentate.
Partiamo con la sessione sulla Terapia Cellulare, un campo molto promettente e a volte controverso sul quale puntano molti gruppi di ricerca internazionali.
Il presupposto di partenza per la terapia cellulare è che se non si riesce a fornire al muscolo il gene sano della Distrofina una valida alternativa può essere quella di fornire direttamente cellule muscolari sane. Il punto di forza di questa strategia è la sua universalità, a differenza di altre strategie come l’Exon skipping o il PTC124 che prevedono una specifica terapia per una specifica mutazione, la terapia cellulare è applicabile – teoricamente – a qualsiasi paziente DMD.
Questo filone di ricerca è iniziato negli anni ’90 con studi pionieristici basati sull’utilizzo dei mioblasti. I risultati hanno dimostrato che il trapianto di mioblasti in muscoli distrofici porta effettivamente ad una produzione di distrofina nelle fibre muscolari ma i ricercatori si sono scontrati con alcuni ostacoli, quali la bassa sopravvivenza di queste cellule e la loro limitata capacita’ di migrare nel tessuto muscolare.
Dopo gli scarsi successi ottenuti con i mioblasti, i lavori successivi hanno puntato l’attenzione sui diversi tipi di cellule pluripotenti che si trovano nel nostro organismo. I 4 relatori (Yvan Torrente, Maurilio Sampaolesi, David Sassoon e Rita Perlingeiro) hanno illustrato il panorama mondiale degli studi sulle potenzialità terapeutiche delle cellule staminali adulte, che possono essere isolate dal midollo osseo, dal sangue e dal muscolo, e anche di quelle embrionali che da quest’anno si sono aggiunte alla lista.
 
1- Trapianto autologo di cellule staminali adulte ingegnerizzate per produrre distrofina 
torrente2Yvan Torrente 
 
Lo studio, guidato da Yvan Torrente e pubblicato sulla rivista scientifica Cell Stem Cell lo scorso dicembre, è basato sulla combinazione di terapia genica e cellulare: isolare cellule staminali da pazienti DMD che presentano mutazioni di “frameshift” del gene della distrofina, correggere la forma della distrofina mediante la tecnica di exon skipping (vedere la parte dedicata all’exon skipping), ed infine reimpiantare le cellule “geneticamente corrette” in topi mdx.
Per quel che riguarda le cellule di partenza; si tratta di cellule staminali (chiamate CD133+) isolate da sangue periferico o da biopsie muscolari di bambini Duchenne. Le cellule sono state coltivate in laboratorio e, successivamente, trattate con un lentivirus, un virus che puo’ essere utilizzato per trasportare le sequenze di RNA disegnate ad hoc per effettuare l’exon skipping dell’esone 51. Le cellule ingegnerizzate sono state iniettate nel muscolo tibiale anteriore (TA) di topi mdx e le analisi effettuate a 21 e 45 giorni dall’impianto delle cellule hanno dato risultati positivi. Le cellule staminali umane esprimono di nuovo la distrofina con il corretto schema di lettura, e ciò è sufficiente affinché nelle cellule muscolari dei topi si riformi il complesso di proteine che ne compone l’impalcatura. I ricercatori hanno anche dimostrato che le cellule staminali si integrano bene nel tessuto muscolare in cui sono state iniettate, dando origine a quella popolazione di cellule progenitrici (le cellule satelliti) dalle quali si differenziano le cellule muscolari (i miociti).
Un’eventuale terapia per la DMD deve necessariamente prevedere un effetto diffuso a tutti i muscoli del corpo. E’ per questo motivo che i ricercatori hanno subito tentato una seconda via: la somministrazione per via sistemica. Le cellule staminali “geneticamente corrette” sono state quindi iniettate nelle arterie femorali dei topi distrofici. E anche in questa seconda fase dello studio i dati sono risultati molto incoraggianti: diverse aree dei quadricipiti, degli extensor longus digitorum (muscolo dei piedi) e dei TA (Tibiale Anteriore) hanno mostrato l’espressione della distrofina umana. Anche in questo caso le cellule staminali si sono integrate funzionalmente nel tessuto muscolare e le analisi eseguite sui topi trattati hanno rivelato un miglioramento nella struttura e nella resistenza dei muscoli.
Il filone di ricerca portato avanti dal gruppo di Torrente è sicuramente molto interessante perché si tratta di un approccio che, se utilizzato sull’uomo, prevede l’utilizzo di cellule staminali del paziente stesso e quindi elimina qualsiasi problema di rigetto immunitario. Prima di parlare di sperimentazione clinica sull’uomo ci sono pero’ una serie di punti deboli con cui fare i conti. Prima di tutto, per trattare i topi sono state utilizzate migliaia di cellule staminali e per un bambino ne servirebbero miliardi, questo pone un primo problema di tipo tecnologico: la produzione su larga scala di enormi quantita’ di cellule. Un secondo ed importante punto è poi l’utilizzo di lentivirus per effettuare l’exon skipping. Questi vettori virali si possono inserire casualmente nel DNA delle cellule ingegnerizzate, un evento che rischia di interferire con l’espressione di geni diversi dalla distrofina o di causare delle mutazioni cancerogene.
Uno dei prossimi traguardi dei ricercatori italiani è, infatti, quello di trovare un nuovo efficace ed innocuo metodo per guidare l’exon skipping.
 


 
2- GRMD: trattamento cellulare a lungo termine e terapia cellulare autologa
sampaolesi2Maurilio Sampaolesi
 
Uno degli studi piu’ promettenti e’ sicuramente quello portato avanti da Giulio Cossu e Maurilio Sampaolesi, basato sull’identificazione dei mesoangioblasti come cellule capaci di rigenerare il tessuto muscolare danneggiato e ripristinare la sua funzionalità, sia in topi mdx che in cani GRMD.
Uno degli aspetti piu’  interessanti dei mesoangioblasti è che se introdotte nella circolazione sanguigna queste cellule sono in grado di migrare fuori dall’endotelio dei vasi e colonizzare i tessuti circostanti. In un lavoro pubblicato nel 2003 su Science, i ricercatori erano riusciti a dimostrare che mesoangioblasti iniettati in topi mdx sono capaci di rigenerare il tessuto muscolare danneggiato e ripristinare la sua funzionalità.
Il passo successivo e’ stato quello di ripetere gli stessi risultati su un modello animale piu’ complesso quale il cane. Gli esperimenti sono stati condotti sui Golden Retriever Muscular Dystrophy (GRMD), cani che presentano una mutazione di “frameshift” sul gene della distrofina, e lo studio e’ stato pubblicato nel novembre del 2006 su Nature. In una prima fase sperimentale, i ricercatori hanno estratto i mesoangioblasti dai vasi sanguigni di cani sani, li hanno fatti moltiplicare in coltura, e li hanno iniettati per via intra-arteriosa in cani GRMD . Dopo cinque iniezioni consecutive, i cani distrofici hanno mostrato un miglioramento nella deambulazione e nella forza muscolare. Gli scienziati hanno seguito la migrazione dei mesoangioblasti ed hanno osservato che, una volta usciti dai vasi sanguigni, questi vanno a colonizzare i muscoli danneggiati. Le cellule staminali si fondono con le fibre muscolari esistenti, producono la distrofina sana e rigenerano cosi il tessuto muscolare. I risultati si sono dimostrati ottimi, l’unico punto critico e’ rappresentato dall’esigenza di sottoporre i cani ad un trattamento d’immuno-soppressione (con ciclosporina) per evitare il rigetto delle cellule introdotte, provenienti da altri cani. La critica principale, arrivata da alcuni ricercatori che lavorano sulla DMD, è che l’effetto positivo sui cani sia dovuto alla ciclosporina e non alle cellule staminali. Il gruppo di Giulio Cossu ha ripetuto degli esperimenti ad hoc ed e’ stato dimostrato che la ciclosporina, alle dosi in cui agisce da immuno-soppressore peggiora drammaticamente la forza, il che è invece compensato dall’azione dei mesoangioblasti. Le risposte sperimentali del Prof. Cossu alle critiche che erano gli state mosse sono state pubblicate lo scorso dicembre su Nature.
Ulteriori risultati incoraggianti sono arrivati con l’identificazione delle cellule che, nell’uomo, corrispondono ai mesoangioblasti. Si tratta dei periciti: cellule associate ai vasi sanguigni dei muscoli scheletrici dell’uomo, che hanno caratteristiche e potenzialita’ molto simili ai mesoangioblasti isolati dai topi e dai cani. Una serie di esperimenti, pubblicati su Nature Cell Biology a febbraio 2007, hanno dimostrato che i periciti sono cellule facilmente manipolabili in laboratorio e che, se iniettate per via sistemica in topi mdx immuno-soppressi, sono in grado di colonizzare il tessuto muscolare e di generare una forma corretta di distrofina umana.
Questi ultimi dati rappresentano un ottimo punto di partenza per la progettazione di una futura sperimentazione clinica sull’uomo. Il team di Giulio Cossu e’ adesso concentrato nell’accumulare tutte le informazioni necessarie per garantire la massima sicurezza per questo nuovo approccio terapeutico e dunque trovare i finanziamenti e i partner clinici adeguati, per la programmazione e l’esecuzione del trial.
 


3- Una nuova popolazione di cellule staminali nel muscolo scheletrico
sassoon2David Sassoon
 
Normalmente, la rigenerazione – o “riparazione” – muscolare avviene ad opera delle cellule satellite. Quando il muscolo scheletrico subisce un danno, alcuni segnali cellulari vanno a “risvegliare” ed attivare queste cellule, le quali proliferano, si differenziano e si fondono con le fibre muscolari. Negli ultimi anni diversi gruppi di ricerca sono riusciti a dimostrare che le potenzialita’ miogeniche, ovvero la capacita’ di dare origine a mioblasti, sono condivise anche da altri tipi cellulari. Un punto che rimane da chiarire e’ la loro origine e natura, dove sono posizionate all’interno dell’organismo, come agiscono e soprattutto come si relazionano rispetto alle cellule satellite.
E’ stato osservato che durante la crescita post-natale il gene PW1/Peg3e’ espresso in una sotto-popolazione di cellule interstiziali del tessuto muscolare. Lo stesso gene, nelle cellule satellite, e’ espresso insieme aPax7, un fattore importante per la potenzialita’ delle cellule staminali. Questo dato ha portato il gruppo di ricerca di David Sassoon ad approfondire gli studi su queste particolari cellule, chiamate PIC (PW1 Interstitial Cells).
Con una serie di esperimenti condotti su colture di cellule PIC isolate dal tessuto muscolare, i ricercatori hanno scoperto che questa popolazione di cellule e’ in grado di  differenziarsi in cellule muscolari di tipo liscio ma non in mioblasti (le cellule muscolari di tipo scheletrico). Una situazione che puo’ essere cambiata qualora le PIC siano messe in coltura insieme alle cellule satellite, queste ultime inducono il differenziamento delle PIC a favore dei mioblasti. Ulteriori analisi molecolari hanno dimostrato che l’azione induttiva delle cellule satellite e’ basata su Pax7: se in esperimenti di co-coltura questo manca le PIC non sono piu’ in grado di dare una linea cellulare  miogenica.
Oltre all’azione determinante di Pax7 anche PW1 ha comunque un importante ruolo cellulare, studi di altri gruppi di ricerca hanno dimostrato che questo gene e’ espresso nei bulbi piliferi della pelle, già noti come nicchie di cellule staminali.
Questo filone di ricerca ha evidenziato l’esistenza di una nuova popolazione cellulare residente, nel muscolo post-natale, che ha interessanti caratteristiche nella ricerca di una terapia per la distrofia muscolare.
Risultati preliminari hanno inoltre dimostrato che se iniettate in un muscolo danneggiato le PIC sono in grado di partecipare al processo di rigenerazione muscolare.
 


 
4- Rigenerazione muscolare con staminali embrionali
perlingeiro2Rita Perlingeiro 
 
Anche nel campo della distrofia muscolare compaiono i primi lavori sul versante delle cellule staminali che eticamente sono le piu’ controverse: le cellule staminali embrionali (CSE).
Un nuovo lavoro, guidato da Rita Perlingeiro in Texas e pubblicato lo scorso mese (gennaio 2008) su Nature Medicine, si basa sull’utilizzo delle staminali embrionali, cellule che hanno maggiori potenzialita’ rispetto alle cellule staminali adulte ma che presentano anche alti rischi tumorali e, in molti paesi, notevoli problematiche etiche.
Per ovviare il problema della potenziale tumorigenicita’, i ricercatori hanno tentato di identificare nelle CSE una sottopopolazione cellulare che potesse coincidere con le cellule progenitrici muscolari. L’utilizzo di avanzate tecniche per la separazione dei diversi “profili cellulari” ha portato all’isolamento di una popolazione omogenea di cellule che mostra una morfologia simile a quella dei progenitori dei mioblasti. Una serie di analisi ha successivamente dimostrato che, seppur mantenendo alcune delle caratteristiche tipiche delle cellule staminali, queste cellule hanno gia’ intrapreso il cammino differenziativo verso la linea cellulare muscolare.
In una seconda fase dello studio, le potenzialita’ di queste cellule, sono state testate in topi mdx  mediante iniezione nel muscolo tibiale anteriore. Le analisi effettuate sulla biopsia del muscolo mostrano che le cellule sono in grado di integrarsi bene nel tessuto muscolare e che si ha una nuova espressione della distrofina, che rimane presente fino a 3 mesi dopo la somministrazione delle cellule. Inoltre, l’utilizzo di queste cellule staminali “programmate”, non ha causato nessun evento tumorale.
Per rendere la tecnica piu’ efficiente, ovvero per estendere i risultati ai vari muscoli del corpo, i ricercatori hanno iniettato le cellule nei topi mdx per via sistemica. I risultati si sono dimostrati, ancora una volta, positivi: si ha un incremento dell’espressione della distrofina del 11-16%, un effetto osservato fino a 22 settimane dopo l’introduzione delle cellule, e nessun evento tumorale. Analisi di approfondimento sono state successivamente effettuate per quel che riguarda la funzionalita’ del muscolo. Dopo iniezione delle cellule per via sistemica, i ricercatori hanno osservato un miglioramento nella capacita’ contrattile del muscolo tibiale anteriore dei topi.
L’interesse di questo lavoro risiede nell’identificazione di una nuova fonte cellulare, non controversa, come possibile futura terapia per la distrofia muscolare. Si tratta comunque di uno studio ancora a livello pionieristico con molti aspetti che devono ancora essere approfonditi dai ricercatori.
di Francesca Ceradini