Il 17 febbraio 2021, in occasione della XVIII Conferenza Internazionale sulla distrofia muscolare di Duchenne e di Becker, organizzata da Parent Project, si è svolta la sessione parallela “Ci sono anch’io. Essere fratello di un paziente DMD/BMD”, dedicata al tema dei sibling.

La sessione, moderata da Marica Pugliese e Anna Petruzza, ha voluto dar voce ai sibling in prima persona, permettendo loro di raccontare la loro esperienza come protagonisti della loro storia.

La relatrice Carla Ferrazzoli del Comitato Siblings, dopo aver introdotto il tema, ha coinvolto Francesca, Bianca e Davide, tre sibling che hanno scelto di condividere con noi la loro esperienza di sorella/fratello di un ragazzo con DMD/BMD.

La sessione è stata ricca e ha attraversato diversi temi, tra cui il rapporto tra fratelli, la relazione con i genitori, l’influenza che la diagnosi di DMD/BMD ha avuto sulla loro vita e, infine, la scelta del partner. Carla, Francesca, Bianca e Davide si sono raccontati con generosità e questo ha permesso di entrare empaticamente in contatto con le loro storie, di vedere le cose da un punto di vista nuovo e inusuale diventando così una possibilità di crescita e arricchimento per tutti gli uditori.

Allo stesso tempo, anche per i sibling, potersi raccontare, confrontarsi con chi vive la loro stessa situazione e quindi può capirli, riconoscersi nel racconto dell’altro e condividere momenti di fragilità, risorse e traguardi raggiunti, ha permesso di ritrovare e sperimentare uno spazio di ascolto, comprensione e conforto.

La sessione è stata molto partecipata, con commenti, interventi e domande da parte degli uditori, stimolando un confronto diretto tra sibling. Al fine di poter rispettare i tempi della sessione, non è stato possibile rispondere ad un’ultima domanda, rispetto alla quale avevamo promesso che avremmo risposto in un secondo momento, ed eccoci qui, a mantenere la nostra promessa!

La domanda posta in chat è stata la seguente “Che rapporto avete con i vostri genitori? Tendono a reprimere e ad evitare il discorso oppure se ne parla con tranquillità? Vorreste ci fosse più dialogo, o magari meno? Grazie.

Ecco di seguito le risposte dei sibling, che siamo certe possano essere un utile spunto di riflessione per tutti.

Francesca riferisce: “Io ho un certo tipo di rapporto con mia madre e un altro con mio padre. Quando io ero piccola mi veniva detto poco e niente, e a volte quel poco che mi spiegavano, anche se principalmente era mia madre a prendersi l’incarico di parlarne, era anche un po’ addolcito a mo’ di favola. Crescendo ho riscontrato in lei le stesse meccaniche, e solo grazie al mio insistere potevo avere risposte più chiare ed esaustive. Di base c’è sempre stato quindi il reprimere e l’evitare il discorso. Negli anni però qualcosa è cambiato: mio padre si è sempre andato di più a chiudere, lasciando sola mia madre sia nella quotidianità sia nelle scelte importanti, soprattutto in periodi come questo in cui Daniele deve affrontare un nuovo, diverso percorso di fisioterapia e in cui sta cominciando tra l’altro a sedersi (es. scelta della carrozzina, di aiuti per lui, di supporti specifici per il bagno, ecc..). Mia madre credo che in passato volesse, solamente proteggere me e mia sorella da una brutta realtà e ora che siamo grandi ne parla anche abbastanza facilmente con noi, perlomeno ha qualcuno con cui sfogarsi. Vorrei ci fosse stato più dialogo in passato per esser stata più pronta ad affrontare certe cose invece di vedermele poi arrivare in faccia. E vorrei che i miei fossero più vicini in questo discorso, per non avere il peso ulteriore di una madre che sta combattendo sola quando un padre invece c’è. 

Inoltre ci tengo a dire che ognuno ha un carattere diverso, ma per chi è particolarmente sensibile essere un fratello di un ragazzo con la Duchenne comporta provare, nei confronti proprio dei genitori, senso di colpa in caso di assenza fisica da casa prolungata o meno, difficoltà e/o volontà di non condividere argomenti personali più delicati per la paura di sovraccaricare – inutilmente, si pensa anche – i propri genitori, rabbia e/o rabbia repressa di fronte a situazioni e modi di agire e di pensare considerati non sani, vergogna e/o sensi di colpa e/o difficoltà a prendere decisioni per il bene della propria vita che possano comportare in qualche modo una specie di abbandono della realtà in cui si percepisce i genitori siano costretti, come se prendere una determinata scelta voglia dire abbandonarli. Questo per fare una specie di appello ai genitori: anche se noi siamo fratelli e non abbiamo il vostro tipo di responsabilità e il vostro grado di sofferenza, anche noi soffriamo e viviamo le stesse cose, con una diversa sfera emotiva; non date mai per scontato che noi siamo “solo fratelli”, a me è successo e non c’è niente di peggio per farci sentire ancora più soli”.

L’esperienza di Davide è molto diversa: “A casa mia si parla poco di disabilità, tra fratelli ma anche con i genitori. Le rare volte in cui se ne discute lo si fa con assoluta leggerezza, anche perchè i miei non richiedono aiuto né da parte mia né da parte di mia sorella e tendono a gestirsi tutti i “compiti” e le mansioni legate alla disabilità tra di loro. Per adesso, sono contento che sia così. In futuro se mi sentirò pronto a dare un po’ più di aiuto mi farò sicuramente avanti io aprendo un dialogo più fitto con loro sul tema”.

Infine Bianca riporta la sua esperienza e le diverse fasi vissute in relazione alla patologia: “Fortunatamente non è mai stato un problema affrontare discorsi legati alla malattia di mio fratello, né da parte mia né da parte loro. Si è sempre parlato apertamente e schiettamente delle situazioni, dei problemi e di quali “strategie” applicare per risolverli o affrontarli nel migliore dei modi. 

A parer mio non serve a nulla evitare o reprimere il discorso, sarebbe come nascondere la polvere sotto il tappeto, e potrebbe essere visto dal fratello come un modo per non renderlo partecipe della quotidianità della famiglia. Personalmente mi è capitato di raggiungere il limite di sopportazione e di volermi estraniare da tutto ciò che riguardava la malattia e anche un po’ dalla famiglia in sé, non mi interessava sapere com’erano andate le visite o se dovesse portare tutori o meno, non volevo più sapere queste cose. Fino a quando mio fratello non è peggiorato e ha avuto bisogno della macchina per la respirazione notturna, vederlo con la mascherina della NIV (credo si scriva così) mi ha veramente smosso qualcosa dentro, non riuscivo a capacitarmi di come potesse essere successo. Mi sono sentita un’estranea, non avevo la minima idea di tutto quello che stesse succedendo, una sensazione terribile, ho avuto un brutto crollo emotivo, che mi ha portato a riavvicinarmi a tutto quello che avevo certato di evitare nei mesi/anni precedenti. 

Detto questo, credo sia sempre bene coinvolgere i fratelli, anche se piccoli, in questi dialoghi, in modo da normalizzare sempre di più la situazione e quelle che si verranno a creare con l’avanzare della patologia. Ricordando che la DMD è una condizione presente nelle nostre vite, ma non dobbiamo mai metterla in primo piano rispetto alla persona”.

Ci sembra importante sottolineare, nuovamente, come l’esperienza di essere sibling non debba essere vista in un’ottica patologizzante, bensì come una condizione che richiede una particolare attenzione al fine di poter prevenire eventuali segnali di disagio (come sintomi psicosomatici, comportamenti oppositivi o, al contrario, comportamenti di iperadattamento o volti al perfezionismo e alla performance) e attivare le principali strategie di resilienza, ovvero:

– SPIEGARE: informare i sibling fin da subito sulla condizione di disabilità del fratello, con modalità comunicative adeguate all’età;

– PARTECIPARE: coinvolgere i sibling in tutti gli aspetti di vita del fratello, dalle visite specialistiche alle terapie farmacologiche e psicologiche; tale partecipazione deve avere però dei limiti, in quanto è bene ricordare che è sempre compito dei genitori prendersi cura dei figli;

– ESPRIMERE ED APPROVARE LE EMOZIONI: per molti sibling può essere difficile esprimere e legittimare i sentimenti negativi e ambivalenti che provano nei confronti del proprio fratello disabile; è molto utile poter accogliere tali emozioni confrontandosi con esse in modo aperto e spontaneo, al fine di incanalarle nel modo giusto e di identificare all’interno della famiglia strategie di gestione più utili e funzionali;

– PROMUOVERE UNO SPAZIO PERSONALE: è importante che i sibling abbiano il loro spazio personale, che possano avere del tempo e dello spazio tutto per loro in cui trovare rifugio.

Essere fratello o sorella di una persona con patologia rara, come ci hanno dimostrato le storie di Carla, Francesca, Bianca e Davide, è un’esperienza che per alcuni aspetti mette a dura prova, permettendo quindi ai sibling di sviluppare, nella maggior parte dei casi, una maggiore resilienza, di divenire persone forti, determinate, capaci di strategie di problem solving creative, capaci di affrontare le situazioni difficili con efficacia ed efficienza, maggiormente tolleranti verso la diversità, più collaborative ed empatiche. Tali elementi positivi sono una risorsa preziosa per i sibling, la cui consapevolezza però va ricercata, costruita e conquistata attraverso un processo (emotivo e relazionale) che li porti ad una definizione di sé in grado di racchiudere la complessità della loro esperienza.

Vi ricordiamo infine che, per chi non avesse potuto partecipare alla sessione o per chi desidera riguardarla, è disponibile la registrazione al seguente link: