In realtà, sotto il termine di “terapia farmacologica” sono raggruppati tutta una serie di approcci diversi che hanno come obiettivo finale quello di sviluppare delle molecole – tra cui moderni farmaci biotech – che possano agire direttamente sul danno a livello del gene (PTC124), regolare i meccanismi responsabili della rigenerazione del tessuto muscolare (ACE031) o, più semplicemente, cercare di rendere più forti i muscoli anche in mancanza di distrofina.
Steroidi giornalieri: una strategia valida a lungo termine?
Douglas Biggar
Nonostante gli enormi progressi fatti negli ultimi anni nel campo della DMD non esiste ancora nessun trattamento terapeutico veramente efficace per arrestare il lento avanzamento della patologia. In questo panorama, i farmaci corticosteroidi (cortisonici) sembrano avere un ruolo rilevante, intervenendo sui processi anti-infiammatori e riducendo le reazioni immunitarie coinvolte nella progressione della malattia. È importante chiarire che si tratta comunque di una terapia palliativa e non di un trattamento in grado di risolvere il problema ma, indipendentemente dall’esatto meccanismo d’azione che è ancora sconosciuto e in virtù degli effetti positivi riscontrati, i cortisonici sono ampiamente utilizzati nella distrofia di Duchenne.
Nei pazienti Duchenne i corticosteroidi esercitano un’azione anabolica sul muscolo, aumentando cioè la massa muscolare, e riducono i fenomeni degenerativi, intervenendo cosi favorevolmente sulla forza muscolare e sul decorso clinico. Se presi prima della perdita della capacita’ di camminare, i corticosteroidi sono in grado di prolungare la deambulazione di qualche anno.
A fronte di una certa efficacia l’utilizzo cronico di questi farmaci è purtroppo limitato da una serie di effetti collaterali rilevanti, quali l’arresto della crescita, un notevole aumento del peso, aumento della glicemia, osteoporosi, cataratta e un cambiamento del comportamento che può sviluppare una indole aggressiva. Per questi motivi, uno dei punti piu’ discussi dalla comunità medico-scientifica è la valutazione del rapporto rischi–benefici della terapia cortico-steroidea.
Al convegno Douglas Biggar, professore all’Università di Toronto in Canda, ha illustrato i risultati ottenuti da studi basati sul trattamento prolungato (da 10 a 20 anni) con il Deflazacort, un derivato più tollerabile del Prednisone con pari efficacia nel migliorare la forza e la funzionalità del muscolo e nel prolungare la capacità di camminare. E’ stato osservato che in alcuni pazienti il trattamento porta a dei benefici a lungo termine su diversi importanti aspetti come la deambulazione, la funzione cardiaca e respiratoria, la forza muscolare e la scoliosi. Gli effetti collaterali risultano sempre presenti ma più accettabili: l’aumento di peso può essere mantenuto sotto controllo con una semplice dieta, l’osteoporosi non sembra rilevante e può essere trattata con assunzioni giornaliere di vitamina D e calcio, l’insorgenza di cataratta non compromette la vista e non necessita di trattamenti specifici, inoltre non si è manifestata ipertensione o aumento di glicemia.
Gli studi effettuati mostrano che il Deflazacort può avere un importante impatto sul decorso della distrofia di Duchenne e sulla qualità di vita dei pazienti, una somministrazione prolungata rallenta notevolmente la degenerazione muscolare, riducendo le cure cliniche necessarie dopo i 10 anni di vita. Rimane il fatto che per avere un panorama più completo della situazione sono ancora necessarie ulteriori analisi, più approfondite e prolungate nel tempo, progetto al quale stanno lavorando i ricercatori canadesi.
Aggiornamenti sullo sviluppo del PTC124 per la DMD
Langdon Miller
Immaginiamo di paragonare la struttura di un gene a quella di una frase: per essere letto un gene ha bisogno di un segnale di inizio e di uno di stop, proprio come usiamo fare con la maiuscola ed il punto finale in una frase. Tra i diversi tipi di mutazioni che possono colpire i nostri geni vi è il codone di stop prematuro, si tratta di una mutazione puntiforme, chiamata “non senso”, che comporta l’introduzione di un segnale di stop in una zona interna del gene. Questa mutazione causa l’interruzione anticipata della lettura del gene e, quindi, la produzione di una forma più corta, non funzionale, della distrofina. Per riprendere il nostro paragone iniziale: è come se si introducesse un punto nel bel mezzo di una frase, si perderebbe parte dell’informazione ed il senso stesso della frase.
Circa il 10-15% dei ragazzi colpiti da distrofia muscolare di Duchenne hanno un codone di stop prematuro nel gene della distrofina. Da alcuni anni i ricercatori della PTC Therapeutics, una società biofarmaceutica americana specializzata nella scoperta e nello sviluppo di piccole molecole farmacologiche che intervengono sui meccanismi molecolare post-trascrizionali (ovvero quei meccanismi coinvolti nella lettura dei geni e nella loro traduzione in proteine), hanno messo a punto un nuovo tipo di farmaco sperimentale che permetta al macchinario cellulare di ignorare il segnale di stop e di continuare così la corretta lettura del gene. Si tratta del PTC124, un farmaco per uso orale già designato dall’FDA come “orphan drug” per il trattamento della Fibrosi Cistica e della DMD causate da mutazioni “non senso”.
Negli ultimi anni, la ricerca focalizzata sul possibile uso clinico del PTC124 ha dato risultati molto incoraggianti che hanno permesso di passare dagli studi preliminari effettuati in laboratorio su colture cellulari e su animali, alle prime sperimentazioni cliniche di fase I e II sull’uomo.
I risultati degli esperimenti pre-clinici sono stati pubblicati a maggio 2007 sulla rivista Nature. Gli studi in linee cellulari con mutazioni “non senso” della distrofina hanno indicato che il PTC124 può ripristinare la produzione della distrofina mancante. Nel topo mdx (il modello murino della DMD causata da una mutazione non senso), una somministrazione orale del PTC124 della durata di 4 settimane ha indotto la produzione di distrofina nei muscoli scheletrici e nel diaframma associata ad una riduzione della fragilità muscolare.
Questi dati hanno promosso lo studio del PTC124 alla sperimentazione clinica di fase I e successivamente a quella di fase IIa. I risultati, ottenuti verso la fine del 2007, hanno dimostrato che l’assunzione di PTC124 induce in modo sicuro un ripristino parziale della produzione della distrofina completa e riduce la fragilità muscolare. Attività e sicurezza sono state inoltre confermate in pazienti affetti da fibrosi cistica causata da mutazione “non senso”, che hanno assunto il farmaco per un massimo di circa 3 mesi.
Dopo aver illustrato le caratteristiche e i risultati degli studi basati sul PTC124, Langdon Miller – Direttore clinico della PTC Therapeutics – ha annunciato l’avvio di un nuovo trial clinico internazionale che includerà anche centri italiani. L’obiettivo primario dello studio è di valutare l’effetto del PTC124 sulla capacità di deambulazione di ragazzi con la distrofia muscolare Duchenne o Becker, causata da mutazione “non senso”. Si tratta di uno studio di fase IIb, multicentrico(che si svolge in più di una struttura sanitaria), randomizzato (scelta casuali dei diversi gruppi di ragazzi per le diverse somministrazioni), dose-ranging (che prevede l’utilizzo di frazioni differenti della dose prevista per avere un effetto farmacologico) e in doppio cieco (protocollo sperimentale per cui né chi somministra, né chi assume il farmaco, sia a conoscenza della vera natura del trattamento in esame) controllato con placebo.
L’arruolamento previsto dalla PTC Therapeutics è di circa 165 pazienti, in 25 centri di sperimentazione in tutto il mondo tra cui compaiono anche 3 centri italiani: il Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma (Dott. Eugenio Mercuri), l’Ospedale pediatrico Bambin Gesù (Dott. Bertini) e l’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Per essere inclusi nel trial, i pazienti devono avere le seguenti caratteristiche: essere di sesso maschile e avere dai 5 anni in sù; essere in possesso di una diagnosi genetica che indichi la presenza di una mutazione “non senso” puntiforme nel gene della distrofina; avere la capacità di camminare per 75 metri continuativamente in 6 minuti (definita come Distanza Percorsa in 6 Minuti 6MWD), senza assistenza né tutori ortopedici.
L’inizio dell’arruolamento è previsto per i prossimi mesi, mentre la sperimentazione clinica dovrà iniziare entro gennaio 2009 e finire entro gennaio 2010, il trattamento ha la durata di 48 settimane.
Gli inibitori delle deacetilasi
Pierlorenzo Puri
Normalmente, la rigenerazione – o “riparazione” – muscolare avviene ad opera delle cellule satellite. Quando il muscolo scheletrico subisce un danno, alcuni segnali cellulari vanno a “risvegliare” ed attivare queste cellule, le quali proliferano, si differenziano e si fondono con le fibre muscolari. Uno degli eventi chiave del processo differenziativo è il rimodellamento della cromatina delle cellule. La cromatina è l’impalcatura dell’informazione genetica ed è formata da Dna e proteine: è una struttura altamente dinamica che si divide in regioni più lasse, in cui vi è l’attivazione dei geni, e regioni più compatte, in cui i geni sono mantenuti silenti. In una cellula la scelta di quali regioni della cromatina mantenere lasse o compatte, e cioè quali geni accendere o spengere, ne definisce l’identità. Con il rimodellamento della cromatina le cellule satellite passano da uno stato di cellule staminali quiescenti ad uno stato di cellule muscolari differenziate, esprimenti i geni specifici del muscolo, che vanno ad integrarsi e a riparare il muscolo danneggiato.
I segnali cellulari che risvegliano le cellule satellite sono diversi e possono essere innescati da proteine del processo infiammatorio o da fattori ormonali (ad esempio il testosterone, l’insulina, IGF1), entrambi attivati dopo un danno muscolare.
Negli ultimi anni, le ricerche guidate da Pier Lorenzo Puri hanno permesso la caratterizzazione di alcuni meccanismi molecolari con i quali i segnali cellulari vengono convertiti in rimodellamento della cromatina, e successiva accensione del set specifico di geni. Con una serie di lavori pubblicati tra il 1997 ed il 2002, Puri ha dimostrato come le acetiltrasferasi, proteine che modificano la struttura chimica degli istoni (i “lucchetti” che avvolgono il Dna), siano determinanti per il differenziamento muscolare. Queste acetiltrasferasi, in particolare p300 e PCAF, collaborano con un’altra proteina, MyoD, nota per essere il fattore che istruisce i progenitori muscolari (ad esempio le cellule satelliti) a riparare il muscolo distrofico. L’azione viene svolta a livello della cromatina: quest’ultima acquisisce una struttura più lassa, in punti specifici chiamati loci muscolari, con la conseguente attivazione dei geni che conferiscono l’identità muscolare.
A controbilanciare l’azione delle acetiltrasferasi sono le deacetilasi: proteine che, sempre agendo sugli istoni, richiudono invece la cromatina in uno stato più compatto e silente. In uno studio, pubblicato a settembre 2006 su Nature Medicine, il gruppo di ricerca di Puri ha dimostrato che l’utilizzo di un inibitore delle deacetilasi (la Tricostatina A) è in grado di arrestare la progressione della degenerazione muscolare e di promuovere la rigenerazione del muscolo scheletrico in topi mdx. Le analisi effettuate hanno inoltre evidenziato che il trattamento con Tricostatina A da una parte determina un aumento della massa muscolare, e d’altra parte preserva i muscoli dalla perdita di forza e dalle alterazioni morfologiche tipiche. Dopo soltanto 3 mesi di trattamento i topolini malati sono riusciti infatti a correre normalmente.
In particolare, i ricercatori hanno evidenziato che l’effetto della Tricostatina A passa attraverso l’azione della follistatina, una proteina prodotta dalle cellule del muscolo scheletrico che inibisce la funzione della miostatina. La miostatina è, a sua volta, una proteina inibitrice che interagisce negativamente con lo sviluppo muscolare. Negli individui adulti l`azione contrapposta di miostatina (che limita la rigenerazione muscolare) e follistatina (che induce invece la rigenerazione muscolare) appare regolare la crescita della massa muscolare. Queste evidenze suggeriscono che l’antagonismo funzionale tra miostatina e follistatina possa costituire un importante bersaglio farmacologico per la terapia di distrofie muscolari.
In quest’ottica, definire i meccanismi biochimici e molecolari con cui gli inibitori delle deacetilasi istruiscono la cromatina a modulare l’espressione dei geni coinvolti nella rigenerazione muscolare rappresenta un punto fondamentale per le future ricerche.
Ossido Nitrico e agenti anti-infiammatori non steroidei
Emilio Clementi
L’ossido Nitrico (NO) è normalmente prodotto dai muscoli scheletrici ed ha effetti benefici sulla funzione muscolare. Il meccanismo di azione del NO si basa sulla stimolazione di fattori chiave coinvolti nel processo di rigenerazione delle cellule muscolari, ad esempio l’attivazione delle cellule satellite (le cellule staminali adulte del tessuto muscolare) o il rilascio di fattori miotrofici, ovvero che inducono la crescita della massa muscolare. Inoltre, l’NO stimola la vasodilatazione ed il conseguente aumento di apporto di ossigeno e glucosio alle cellule, fattori che contribuiscono a proteggere i muscoli dai danni a seguito di contrazioni.
Uno studio guidato da Emilio Clementi, e pubblicato nel novembre 2006 sulla rivista PNAS, ha dimostrato come la combinazione di farmaci che rilasciano NO con anti-infiammatori non steroidei (NSAID) abbia effetti positivi sul riparo del tessuto muscolare. Una sperimentazione pre-clinica, della durata di un anno, e’ stata effettuata su topi modello per la distrofia dei cingoli e la DMD mediante somministrazione orale di anti-infiammatori non steroidei che rilasciano NO (indicati con la sigla NO-NSAID).
Emilio Clementi, ricercatore al San Raffaele di Milano, ha presentato lo studio in cui sono stati usati due farmaci distinti, ma con caratteristiche similari: il nitro-ibuprofene e il nitro-paracetamolo. I risultati del trattamento sui topi hanno mostrato un significativo miglioramento degli aspetti morfologici, biochimici e funzionali dei muscoli, senza la comparsa di effetti collaterali di rilevanza. Le analisi effettuate dal team italiano hanno evidenziato che i farmaci rallentano la progressione della distrofia agendo su vari fronti: riducono il processo infiammatorio, prevengono il danno muscolare e mantengono il numero e la funzionalità delle cellule satellite. Studi comparativi hanno inoltre dimostrato che i NO-NSAID sono significativamente più efficaci dei corticosteroidi.
Questi farmaci hanno anche una sorprendente influenza positiva sugli effetti terapeutici dei mesoangioblasti iniettati per via sistemica. In particolare i NO-NSAID aumentano le capacitaà migratorie e di integrazione nel tessuto muscolare che hanno queste cellule staminali.
I NO-NSAID sono farmaci già autorizzati per l’uso clinico sull’uomo, non presentano gli effetti collaterali che danno i corticosteroidi e non provocano nessun tipo di danno a livello gastrointestinale. La speranza è di poter avviare al più presto la sperimentazione clinica per la DMD.
Aumentare la massa muscolare con ACE 031
Jas Seehra
La miostatina, anche conosciuta come GDF-8, è una proteina prodotta dalle cellule del muscolo scheletrico che interagisce negativamente con lo sviluppo muscolare, ovvero limita la crescita della massa muscolare.
In passato è stato osservato che in animali, ma anche nell’uomo, in cui la funzionalità della miostatina viene a mancare a causa di mutazioni a carico del gene corrispondente, si ha un aumento della massa e della forza muscolare. Viceversa, una produzione esagerata della proteina porta ad una perdita del tessuto muscolare accompagnata da una diminuzione della forza dei muscoli. Partendo da queste osservazioni, numerosi studi hanno successivamente evidenziato come un blocco della funzione della miostatina possa avere un effetto terapeutico sulla DMD.
Per agire sul tessuto muscolare la miostatina deve legarsi ad un recettore specifico posto sulla superficie delle cellule muscolari. Negli ultimi anni, la società farmaceutica Americana Acceleron ha sviluppato un analogo di questo recettore, chiamato ACE 031, in forma iniettabile. Questa molecola terapeutica iniettata nei muscoli ha una funzione antagonista, cioè lega la miostatina sequestrandola dai recettori naturali che, quindi, non risentono più dell’effetto inibitorio della proteina.
La sperimentazione pre-clinica, effettuata in diversi modelli animali (dai topi alle scimmie), ha dimostrato che l’utilizzo di ACE 031 porta ad un incremento della massa muscolare, lo stesso è stato dimostrato in topi mdx, il che fornisce speranza per lo sviluppo di una terapia per la DMD.
Francesca Ceradini